Nell’ambiente comune la disabilità viene intesa come sinonimo di menomazione, cioè un fatto accidentale che afferisce al fisico, alla mente, ai sensi…. fatti più o meno gravi che differiscono notevolmente dal concetto di normalità, valutabile da logiche sanitarie e, quindi, che la persona in cui non risiederebbe il concetto di disabilità sia in buona salute.
Nelle disposizioni italiane in materia, invece, la disabilità è sostanzialmente ancorata a due articoli della Costituzione Italiana, anche se in realtà non c’è nessuna espressa indicazione alla stessa, ma comunque intesa:
- Art. 3 Cost., che sancisce che “tutti i Cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione alcuna, e che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Lo stesso articolo vieta la distinzione “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
E’ un articolo, questo, che afferma fortemente i diritti civili di ciascuno e, quindi, anche delle persone con disabilità. - Art. 38 Cost., ove si prevede che “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Assistenza quasi compensativa, quindi, una volta che siano state dimostrate l’indigenza e l’inabilità (che è diversa dalla capacità lavorativa).
Ma le definizioni di disabilità e di persona con disabilità sono l’espressione dei principi fondamentali su cui si basa la Convenzione ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) e, quindi, che le persone vanno messe nella condizione di vivere, scegliere, partecipare, rimuovendo gli ostacoli che impediscono loro di farlo e promuovendo soluzioni che ne consentano la partecipazione al pari degli altri.
Durante l’evoluzione del concetto di disabilità nel corso degli anni, per molto tempo anche in Italia la disabilità veniva intesa – e di fatto è ancora così – secondo uno o entrambi (ma non integrati) dei seguenti modelli:
- Il Modello medico: la disabilità concerne anormalità fisiologiche e psicologiche (causate da malattie, disturbi o lesioni) che necessitano di trattamento medico.
- Il Modello sociale: la disabilità concerne gli svantaggi causati dall’ambiente fisico e sociale che “restringe” la vita delle persone con problemi di funzionamento.
Nella visione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), però, non è sufficiente né uno né l’altro modello, devono essere integrati fra loro.
Nel 1980 dall’OMS viene proposto l’ICDH (Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità, Handicap), che prevedeva la descrizione di una persona attraverso le seguenti tre dimensioni:
- Menomazione: perdita o anomalia a carico delle strutture o delle funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche.
- Disabilità: restrizione o carenza, conseguente ad una menomazione, della capacità di svolgere una attività.
- Handicap: condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o disabilità che limita o impedisce di ricoprire il proprio ruolo.
Nel 2001, poi, l’OMS pubblica l’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) – Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute – il quale iene descritto come lo “strumento condiviso internazionalmente da utilizzare per descrivere il funzionamento umano legato a condizioni di salute”. Tale strumento classifica il funzionamento e la disabilità associati alle condizioni di Salute.
Pertanto, tramite l’ICF si vuole descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.
La disabilità, quindi, può essere definita come la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale.
Rispetto all’ICDH, con l’ICF la disabilità viene intesa come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, fattori personali e fattori ambientali che rappresentano le circostanze in egli vive.
Ne consegue che ogni individuo, appunto, date le proprie condizioni di salute, può trovarsi in un ambiente con caratteristiche che possono limitare o restringere le proprie capacità funzionali e di partecipazione sociale.
Definito il concetto di disabilità, è importante evidenziare soprattutto che Il “bisogno” della persona con disabilità è quello soprattutto di trovare un contesto ambientale idoneo a “ridimensionare” la sua disabilità, perché è il contesto che può fare la differenza tra il sentirsi o non sentirsi disabile, tra il permettere o meno la “partecipazione” del soggetto alle attività proposte, qualsiasi esse siano. Insomma, un contesto ambientale accessibile.
E quando di parla di accessibilità, nel linguaggio comune si pensa quasi sempre alle sole barriere architettoniche, è bene evidenziare che accessibilità è anche, per esempio, mangiare tranquillamente, ossia barriera è anche cibo non adeguato. Infatti, disabile è anche chi presenta intolleranze alimentari comuni o addirittura malattie metaboliche più complicate, spesso rientranti nelle patologie rare, come l’Adrenoleucodistrofia.
Leggi anche:
– Malattie Rare e Disabilità
– L’esenzione in sintesi
– L’invalidità in sintesi
– Invalidità civile: linee guida dell’INPS
– Il collocamento mirato
– Handicap e Disabilità
COMMERNTI RECENTI